La Biografia Gino Rossi Vairo nasce ad Agropoli il 14 novembre 1897 in una famiglia borghese benestante.
All'epoca non sono del tutto spenti i fervori risorgimentali e ci si interroga sulla nuova
realtà nazionale tra l'euforia per la ancor recente conquista dell' unità italiana ed il malessere
per le insolute questioni sociali che provocano le grandi migrazioni di fine secolo verso lontane
terre di lavoro. Unità nazionale, lavoro, migrazione: questioni che si ripropongono con emblematica
attualità - quasi una nemesi - anche nel presente quotidiano con nuovi problemi che stentano
ad essere risolti.
Nella natìa Agropoli Gino Rossi Vairo vive un'infanzia travagliata e infelice, privato ben
presto dell'affetto materno. Sua Madre, donna Giulia Vairo, muore infatti ancor giovane dopo
aver dato alla luce sei figli di cui lui - Gino (il terzo) - era l'unico maschio.
Sin dalla prima gioventù si nutriva di ideali e si arricchiva di cultura; coltivava alla luce
dei classici la sua fantasia fervida ed operosa. Primeggiava negli studi, forse anche per sfuggire
all'angustia degli anni tristi trascorsi nel Convitto-Liceo “Torquato Tasso" di Salerno, ottenendo
sempre dai suoi insegnanti giudizi lusinghieri tanto che essi stessi lo esortarono a sostenere
con un anno di anticipo gli esami di maturità
[1] Così il Poeta descrive quel tempo nella sua autobiografia: “Da un anno ormai l'Italia
era entrata in guerra. All'inizio era stato tutto un tripudio di bandiere e l'emozione
si impadroniva di noi giovani. Chi poteva immaginare quanti lutti avrebbe provocato
questa vicenda, ma chi poteva frenare il nostro entusiasmo? Già dopo qualche tempo tutto
cominciò ad essere sconvolto dagli eventi: quelli poco più grandi di me partivano per il
fronte a gruppi sempre maggiori: il Cilento, terra di povertà e di miseria, era un
serbatoio inesauribile di soldati e volontari che si donavano con fede ad una Patria
quasi sconosciuta. Giungevano notizie di guerra che alternavano bollettini di vittorie e
di sconfitte; le tradotte che risalivano dal sud cominciarono a fermarsi con sempre
maggior frequenza nella stazione del mio Paese. Sostavano ansimando il tempo necessario
per accogliere i miei amici entusiasti e i giovani dell'interno, impacciati e curiosi di
un destino imprevedibile. Quindi ripartivano sbuffando tra canti di guerra, commozione e
saluti. Tornai a Salerno, nel Convitto Torquato Tasso, per riprendere gli studi che mi
impedivano quell'avventura. Ad aprile, confortato dal sostegno degli insegnanti e
all'insaputa dei familiari la decisione di saltare il terzo liceo classico e tentare
direttamente la maturità. Studiavo ininterrottamente: all'alba ero già sui libri e mi
salutava il tocco vasto e solenne della campana del Duomo. Venne il tempo degli esami e
il mio impegno fu premiato: conseguii la maturità con buoni voti, ma di quella
soddisfazione non potei godere neanche un giorno: accadde che mio Padre, già provato da
una vita dura, non resse all'emozione di quell'evento e, alla notizia del mio successo
scolastico, fu colto da un malore al cuore e ne morì. Così mi porto il rimorso di
avergli accorciato la vita”. Il padre Carmine, di cui Agropoli onora la memoria con l'intitolazione della strada panoramica
che conduce all'antico Borgo medievale, era anch'egli una gentile anima di poeta. Esercitava
la professione di Farmacista, ed avrebbe voluto che il figlio seguisse la tradizione di famiglia.
La sua morte prematura indusse Gino ad iscriversi alla facoltà di Scienze e Chimica presso
la regia Università Federico II di Napoli dove frequentava malvolentieri i corsi e i laboratori.
Per un paio d'anni alternò l'impegno universitario col lavoro nella farmacia - temporaneamente
gestita dalla sorella maggiore, Lina - contribuendo a mantenere decorosamente la famiglia.
[2] “La farmacia - scrive ancora il Poeta- era tra le tre/quattro botteghe del borgo “sopra
Agropoli”, nella piazzetta panoramica che affaccia sul mare a fianco della chiesa della
Madonna di Costantinopoli. La gente mi guardava infreddolita da dietro i vetri mentre
io, avvolto in un tabarro, sfidavo il vento, come gli alberi piegati, per fissare
l'orizzonte e il mare in tempesta. Ma chi badava all'intorno? “Da questa intima gioia mi
richiamavano alla realtà i pochi clienti che sbrigavo in gran fretta, rifuggendo da
colloqui pedanti e da consigli terapeutici (che, del resto, non ero in grado di dare)
per tornare, appena possibile, alle mie carte, alle fantasie o a qualche lirica
interrotta” Finché un giorno, sfidando le incomprensioni familiari e i giudizi della gente,
decise di assecondare la sua vocazione letteraria e di cambiare indirizzo di studi:
abbandonata la facoltà scientifica, che aveva frequentato con poco profitto, s'iscrisse a
quella di Lettere e Filosofia, sempre all'Università di Napoli. Ebbe per maestro
l'illustre prof. Francesco Torraca, senatore del Regno, che lo predilesse, e i professori
D'Ovidio e Schipa.
Conseguì il 13 luglio 1925 la laurea col massimo dei voti discutendo una tesi sul teatro goldoniano:
ne fu relatore lo stesso professor Torraca che ebbe a manifestargli vivo apprezzamento per
la profondità della ricerca e la validità degli spunti critici.
Di lì a poco superò
un concorso della Pubblica Istruzione ed ottenne la cattedra di Lettere negli Istituti
superiori. Insegnò dapprima a Salerno, al Liceo Leonardo da Vinci e all'Istituto Regina
Margherita; poi passò a Napoli, all'Istituto Alessandro Volta (1931/32) e quindi
all'Istituto Paolo Emilio Imbriani di Avellino (1932/35) dove conobbe e poi sposò una sua
giovane allieva - Maria de Peruta - che fu sua compagna per la vita e da cui ebbe tre
figli il primo dei quali morì in età tenerissima. Nel 1936 si trasferì a Roma, nella
storica casa di Via di Villa Torlonia, ove ebbe modo di incontrare alcuni tra i maggiori
esponenti culturali dell'epoca.
Nella Capitale insegnò al Liceo Alfredo Oriani (1936/41), al Liceo IX Maggio (1942/43) e successivamente
fu vice preside al Liceo Tasso, ancor oggi riconosciuto come uno dei più prestigiosi Istituti
scolastici della Città.
Poco prima di concludere la sua breve esistenza - morì a 52
anni - poté coronare il suo sogno di studioso conseguendo la libera docenza in lettere
antiche presso l'Università degli Studi di Roma.

Docente ed Educatore La Scuola fu il suo campo d'azione, nella scuola operò e visse: alle alte finalità dell' insegnamento
dedicò ogni suo impegno, ogni ideale, ogni energia. Ai giovani lasciò grande eredità di valori
morali ed un inequivocabile messaggio di libertà e di indipendenza intellettuale, non sempre
facilmente trasmissibile in quegli anni di regime. Schivo e riservato, viveva appartato in un
suo mondo interiore ma sempre coltivò il suo credo di umanità, di altruismo e di amore; scrutava
l'immanente per quanto di buono, di bello, di morale si celasse nella realtà circostante; appariva
come un solitario per quel suo atteggiamento distaccato, quasi aristocratico, che lo poneva con
naturalezza al di sopra delle cose comuni, ma che non gli impediva di confrontarsi, compiacente,
coi suoi discepoli e con la gente semplice per ascoltarne le istanze ed essere disponibile verso
chi gli si rivolgeva per consigli o aiuto.
[3] È quanto appare in uno stralcio di un articolo commemorativo scritto dal prof. Luigi
Landolfo, già suo alunno, riportato sul “Corriere dell'Irpinia” nell'ottobre del 1950, a
distanza di due mesi dalla scomparsa del Poeta, avvenuta il 10 agosto:“Quando penso al
Prof. Gino Rossi Vairo mi piace immaginarlo in quell'aulanella quale ebbi la fortuna di
ricevere i suoi insegnamenti e, con molti altri compagni, guida fraterna ed affettuosa.Mi
piace immaginarlo così, il mio buon Maestro, nella scuola, perché qui lo rivedo giovane,
pieno di vigore efermento spirituale, quando coglieva le prime affermazioni oltre che come
professore di lettere, come poeta, scrittore, artista; rivedo la sua figura bella, integra
nella sua essenza di educatore, poiché il professor Gino Rossi Vairo visse nella scuola e
per la scuola, ad essa dedicò ogni ideale, ogni ardore, ogni energia fino all'ultimo
anelito di vita…..” “….E quando io, allievo fedelissimo, vorrò rivedere il mio Maestro,
farò come usavo spesso: l'attenderò all'ingresso del Liceo Tasso di Romae, all'ora
dell'uscita, vedrò riempirsi d'un tratto la scala di centinaia di giovani che, invadendo
l'atrio, lo riempiranno di giovinezza fresca e sorridente. E quando essi, compresi di
rispettoso silenzio e deferenza, faranno ala e lo saluteranno, ecco il mio cuore vedrà
apparire, come allora, e venirmi incontro il Prof. Gino Rossi Vairo che, con il suo gesto
caratteristico della mano abbraccia tutti coloro che lo circondano, e sorride. E a me
sembrerà ancora di udire la sua voce che mi saluta con l'affettuosa espressione “..salve,
mio caro Lando…” e ancora sembrerà che con Lui mi confonda tra i suoi giovani prediletti
... Luigi Landolfo” Le opere giovanili e la contemplazione della natura Mente aperta al vasto sapere volle esprimere - ancor giovanissimo - la sua
testimonianza d'amore per la sua terra. Tra le prime pubblicazioni,
Vampe cilentee (1928), è tutta un inno di esaltazione eroica del Cilento nella
rievocazione dei moti carbonari cilentani del 1828, repressi nel sangue dall'esercito
borbonico. Ad essi - ricorda Rossi Vairo orgogliosamente - molto deve il destino, ormai
prossimo, dell'indipendenza nazionale e della sospirata unità patria.
È del 1930 la
pubblicazione di una raccolta di liriche
Avventura Azzurra (Ed. Tirrena, Napoli), in
cui già s'intravedono i caratteri della sua complessa personalità di scrittore: ora
impetuoso, ora nostalgico, ora ironico, ma sempre coerente nel solco di un'appassionata e
serena visione della realtà. In quest'opera le immagini poetiche non sono espresse in un
mondo irreale, fantasioso, ma sono piene di umanità, calde di vita e di sentimento. Non,
insomma, ”una mera composizione artistica ben strutturata”, come spesso giudicano i critici
le opere giovanili di autori emergenti non ancora affermati, ma già una raffinata
elaborazione poetica dai contenuti palpitanti.
L'amore è espresso in toni delicati come
nelle liriche
A Licia, Naufragando, Signora di sera; il verso segue una musicalità
lieve: sfumature, colorazioni leggere e sentimenti appena accennati, lasciati all'intuizione
e alla sensibilità percettiva del lettore.
In Rossi Vairo il sentimento della natura
è dominante, sempre nuovo, trasfuso magistralmente nelle immagini rappresentate. Una voce
costante è quella del vento, che sembra sedurlo più d'ogni altro elemento: il vento aleggia
perpetuo, sia come zefiro nel sonetto
Le vele sul golfo, sia come maestrale nel dramma
Palinuro; così che nel mondo artistico/letterario Gino Rossi Vairo è anche conosciuto
come “il poeta del vento” a seguito d'una vittoria riportata in un concorso di poesia in
Campidoglio.
Figlio veramente fiero della sua terra cilentana, sente profondamente
l'amore per il suo mare verdeazzurro, per le colline assolate, i monti innevati, ed avverte
tutto l'incanto della natura che fu prodiga con la sua Agropoli. Così, nei primi due versi
del sonetto
“Al mio Paese”, Gino Rossi Vairo focalizza l'immagine del luogo:
Piccola Patria mia, color del sole ove sorride eterna primavera.
Una definizione da scolpire nella mente, che colma d'orgoglio l'animo d'ogni suo concittadino.
Il sonetto completo è contenuto nella raccolta
Zampilli all'ombra (Ed. La Prora,
Milano, 1938): sono pochi versi che intonano un canto d'amore e di gioia al paese natio, una
sintesi che racchiude la più bella rappresentazione poetica della sua amata Agropoli. Il
testo, musicato dal Maestro Mario Capezzuto, è stato adottato come Inno ufficiale della
città di Agropoli.
[4] Delibera comunale n. 110 del 20 maggio 2004 Quando Gino
Rossi Vairo canta la sua terra si anima di entusiastica forza espressiva che alterna a
momenti di pacata tristezza e di profonda malinconia. Sono questi sentimenti che ispirano le
poesie
Alta Agropoli, La torre di San Marco, Le due soglie.
La produzione lirica È del 1932 l'opera che segnala Gino
Rossi Vairo all'attenzione della critica e del grande pubblico: il poemetto l'
Ulisse (Ed. Casella, Napoli) affronta con concezione nuova ed originale la trattazione di fatti epici.
L'Ulisse di Gino Rossi Vairo non è soltanto l'eroe che incarna il mito per rappresentare la leggenda
narrata dal grande cantore greco ma è il personaggio attualizzato ad anima del nuovo presente,
il protagonista del neo illuminismo pragmatico che spinge l'uomo a ribellarsi alle ferree leggi
della tradizione per affermare la sua supremazia sulla natura. In lui rivive l'impresa di Umberto
Nobile, la tenacia di Amudsen, l'audacia di De Pinedo, l'epopea di Lindemberg; in lui sono le
scoperte di Thomas Edison e la genialità di Marconi che racchiude in un'onda dell'etere lo spazio
senza confini. È il superamento dell' atavica concezione femminile che relegava la donna a ruoli
secondari quando esalta la figura di Gaby Angelini - prima donna pilota dell'Aviazione italiana
- che coraggiosamente sfida le forze della natura e precorre di molto il processo di emancipazione
femminile nella considerazione sociale italiana. È, nell'insieme, l'espressione della gioventù
sua contemporanea che, superate le incerte frontiere dell'essere, si spinge fino alle tormentate
conquiste del mistero.
[5] 
Il poema epico Ulisse di Gino Rossi Vairo, trae chiara ispirazione dalla visione dantesca del mito
dell’Itacense, in particolare per quel che riguarda i temi dell’ ultimo viaggio, della fuga dello spirito e
del desiderio di conoscenza. E’ consigliabile associare la lettura del carme a quelle del suo saggio
“Ulisse, mito di tutti i tempi”, tratto dalla conferenza di presentazione del poema al Circolo “Gli Illusi”
di Napoli (1929) ed all’articolo “Eticità di Ulisse” che lo stesso Autore pubblicò qualche anno dopo sul
giornale Il Popolo di Roma (25 giugno 1936). In entrambi questi scritti Gino Rossi Vairo fornisce una chiave
di lettura dell’arcano, quanto immaginifico, suo testo epico spiegando come, sullo sfondo di quei versi
metrici, intendeva volgere la mente ai Grandi della storia, all’epopea dei tanti Ulissi di tutti i tempi che
con fede e coraggio hanno sfidato i confini del sapere conquistando mete insperate nella scienza, nell’arte
e nella conoscenza in genere. Un’attenzione particolare Gino Rossi Vairo riserva agli Ulissi/miti del suo
tempo, a coloro che interpretano l’essenza dell’ epoca, vale a dire i grandi eroi dell’aria e dello spazio:
cita, tra gli altri, Umberto Nobile, Roald Amundsen, Francesco De Pinedo, Gaby Angelini, Guglielmo Marconi
(“che racchiude in un’onda dell’etere lo spazio senza confini”), Thomas Edison (“fugatore delle tenebre”).
Dell'anno successivo (1933) è la pubblicazione de
I Poemi dell'ora immortale, un' opera che riscuote il favore della critica che
segnala alcune delle liriche in essa contenute come “i canti di questa guerra”. Non si ha
diretta conoscenza delle recensioni e dei commentari che ne seguirono e dunque non è chiaro
di quale guerra si tratti, ma la collocazione storica dell'opera ed alcune sue tematiche
farebbero pensare non tanto ad una reale situazione di conflitto quanto alla quotidiana
lotta per l'affermazione della libertà.
Il Teatro
Della sua miglior produzione teatrale fanno parte il dramma Il volo di Icaro (1921),
cui fece seguito Siate mia moglie per un giorno solo (1935), commedia brillante in tre atti
rappresentata per un'intera stagione al Teatro Fiorentini di Napoli. Già solo il titolo di
quest'opera gli valse qualche censura dalla puritana critica dell'epoca ma egli non volle
modificarlo consegnando al ridicolo i falsi moralisti del tempo. Segue Il cavaliere
dell'ombra rappresentata dalla Compagnia Paternò che la portò tra i principali Teatri
d'Italia.
Fu poi la volta di Palinuro, poema tragico scritto per Annibale
Ninchi. La critica accolse con favore quest'opera sottolineando che, anche in questo caso,
il riferimento al personaggio virgiliano è solo casuale essendo l'eroe preso a prestito per
l'intento dell'Autore di valorizzare la nobile discendenza dei Cilentani dall'antico popolo
Lucano e le loro virtù marinare. Di essi Palinuro è il novello rappresentante epico.
Il
riferimento ai classici o il ricorso alla metafora è spesso utilizzato da Gino Rossi Vairo per
trasmettere allo spettatore il suo appassionato messaggio di libertà. In questo caso il protagonista
assurge a simbolo di quella fiera gente che tra gli aspri monti del Cilento, covò le prime rivoluzioni
nel nome della libertà conquistandosi un posto di rilievo nella storia del pre-risorgimento italiano.
In Palinuro la gente cilentana vede ritratta se stessa con le sue passioni, i suoi ideali, la
sua tenacia, la sua fede eroica.
Saggi, celebrazioni, conferenze e critica teatrale Il sentimento patriottico di Gino Rossi Vairo si ritrova anche in altri scritti, come nella ricorrenza
del Centenario dei Moti Cilentani del 1828 quando fu chiamato a celebrare l'evento dal Comune
di Monteforte Cilento, patria dei fratelli Capozzoli, briganti ma poi riabilitati in quanto protagonisti
di quelle gesta. Nel suo discorso (poi trasfuso in un saggio), si elogiano personaggi come l'eroico
canonico Antonio Maria De Luca, di Celle di Bulgaria, l'eroina Alessandrina Tambasco e molti
altri cospiratori contro la tirannia borbonica. Il testo fu pubblicato a cura del Comune di Monteforte
ed è ancor oggi una magnifica pagina di eloquenza patriottica. Altra importante celebrazione,
che riscosse grande eco, Rossi Vairo tenne il 14 agosto 1930 a Paestum, nell'incomparabile cornice
del Tempio di Poseidone, per la ricorrenza del bimillenario virgiliano. L'orazione fu pubblicata
a puntate sul quotidiano Roma di Napoli.
Fu anche autore di molti saggi, tratti per
lo più da conferenze o convegni tenuti presso prestigiosi circoli letterari ove era
richiestissimo; così
Il Natale di Roma all' Ateneo salernitano, Il primo centenario
dei
Promessi Sposi all'Istituto Pasquale Villari di Napoli; e poi, ancora,
Professione di fede, Il Mito di Ulisse,
Profili di donne nella vita e nell'arte di Giacomo Leopardi alla Compagnia degli Illusi di Napoli;
Torquato Tasso, il pazzo della controriforma;
La vera storia di Piero della Vigna;
Luisa Sanfelice, l'eroina della Repubblica partenopea del 1799. Tenne, inoltre,
conferenze letterarie presso il Circolo Capocci del Vomero, importante cenacolo della
cultura partenopea dell'epoca.
[6] Va detto che, a cavallo degli anni Trenta del secolo scorso, Napoli primeggiava per la
presenza sul suo territorio di cenacoli e circoli letterari che diffondevano
surrettiziamente un pensiero alternativo a quello imposto dal regime di Roma, e ciò
avveniva coerentemente con le origini greche della Città trasfuse nel popolo partenopeo,
ed al suo secolare passato di indipendenza intellettuale e identitaria dalle altre culture
nazionali. In queste prestigiose nicchie di erudizione, letterati, artisti, studiosi
giovani e meno giovani erano chiamati a tenere lezioni, conferenze e dibattiti tematici di
vario genere riscuotendo l'apprezzamento di un pubblico colto sempre più numeroso. Quasi
una collettiva “fuga dello spirito”, come dirà Rossi Vairo in altra circostanza (nel
saggio sul Mito di Ulisse n.d.r), per allontanare la mente dal disagio diffuso provocato
dal regime imperante e per affrancare la cultura dalle limitazioni dell'orientamento
ideologico del momento. La frequentazione di detti circoli da parte di Gino Rossi Vairo
non era comunque motivata da particolari ragioni politiche perché Egli - di fede
mazziniana - non aveva interesse a palesare il suo deciso distinguo dal pensiero
dominante; nasceva piuttosto dal desiderio di confrontarsi con platee di altri studiosi ed
intellettuali su argomenti culturali e di critica e, non ultima, dall'esigenza pratica di
cogliere un'opportunità economica per sbarcare il lunario di giovane letterato. Discorsi, recensioni, prefazioni ad opere poetiche, saggi di critica sono
raccolti in un volume pubblicato col titolo di
Ombre di Fiamma (Edizioni Cisalpine -
Milano, 1940). Una selezione antologica di dodici Saggi (sei letterari e sei storici) è
stata riproposta recentemente a cura del figlio Carmine (Saggi di Gino Rossi Vairo, Ed.
Largolibri, Agropoli, 2024), convinto che le composizioni saggistiche sono, per loro natura,
svincolate da ogni collocazione temporale specifica: riflettono l'inalterabile pensiero di
un Letterato su determinate ben note tematiche e sono, pertanto, ”opere senza tempo”.
Altro testo di critica apparve col titolo
Eroine del riso e del pianto (Ed. Gaspare
Casella, Napoli, 1935) in cui sono analizzati i principali personaggi femminili del teatro
di Goldoni e dell'Alfieri.
Autore insofferente alle schematizzazioni, Gino Rossi
Vairo si impegnò nella ricerca di trasformazione delle tecniche teatrali, dalla recitazione,
alla sceneggiatura, al coinvolgimento del pubblico; tutte cose che oggi appaiono di routine
nell'insegnamento delle Accademie ma che, all'epoca, sovvertivano canoni consolidati e
sembravano sfidare le stantie regole dello spettacolo. Il frutto di questa ricerca è
contenuto nel breve saggio
La riforma del Teatro moderno.

La storia della letteratura italiana L'opera che consacra Gino Rossi Vairo tra i grandi studiosi della cultura italiana e che costituisce
la summa del suo vasto sapere è la
Storia della Letteratura Italiana (Ed. Corso -
Roma, 1946), adottata in molti Istituti superiori. L'Opera è sfortunatamente incompleta: dei
tre volumi previsti, ne è stato pubblicato soltanto il primo che va “Dalla trasformazione
del Latino alla nascita del volgare italiano” fino alla “Poesia e prosa post-dantesca”
(Petrarca, Boccaccio ed altri). Tra le recensioni, tutte concordi nel riconoscerne la
validità, quelle della prestigiosa Rivista letteraria La Parola ed il libro e del quotidiano
Il Messaggero di Roma.
[7] Così riportava la Rivista letteraria: “Questa di Gino Rossi Vairo è un'opera molto
impegnativa che si adegua alla nuova estetica ed ai più certi risultati della moderna
filologia. L'Autore dimostra di essere critico versatile nella trattazione e nel
giudizio”. Ed ancora, dal Messaggero di Roma: “Quest'opera si distingue in modo evidente
da tutte le altre. È la storia della letteratura vista attraverso l'interpretazione dello
spirito nelle successive epoche, in rapporto, cioè, alla cronaca politica e all'evoluzione
della cultura” Anche altre recensioni, riconoscono alla Letteratura di Gino Rossi Vairo il valore di un'opera
di approfondita ricerca esegetica e di alto profilo culturale, scritta con spirito di artista
oltreché di studioso, opera di maturità e di esperto docente. Ad essa l'Autore aveva atteso con
grande impegno procedendo - come egli stesso rivela - in tre direzioni: storicistica, estetica
e critica.

Il romanzo “Il sole delle nevi” L'essenza della sua maturità artistica si coglie nell'ultimo suo lavoro, il romanzo intitolato
Il sole delle nevi (Ed. Corso Roma - 1947) che tratta del dramma del popolo italiano
durante l'ultimo conflitto mondiale e nel primo dopoguerra. Sullo sfondo di avvenimenti
grandiosi, quali lo sbarco della V Armata alleata sul litorale Agropoli/Paestum (Operazione
“Avalance”), le Quattro giornate di Napoli, la liberazione di Roma e la battaglia di
Trieste, si snoda una vicenda umana di grande intensità, venata da passaggi autobiografici.
Forti caratteri, epiche rappresentazioni, speranze, delusioni scontri di razze e - su tutto
- un purissimo sentimento patrio, scevro di retorica e di nazionalismo. Gino Rossi Vairo
attese con grande passione alla stesura di questo romanzo che volle portare a termine nella
sua casa di Agropoli alta, di fronte a quel mare e a quel panorama che spazia da Paestum a
Capri e nel quale colloca alcune ambientazioni della storia.
A Gino Rossi Vairo è
stata dedicata la prima edizione del “Settembre Culturale al Castello” (Anno 2008),
prestigiosa rassegna letteraria che si tiene ad Agropoli da oltre tra lustri, nel corso
della quale è stata presentata la riedizione de
Il sole delle nevi.

Attività giornalistica
Alla produzione letteraria Gino Rossi Vairo accompagnò un'intensa attività giornalistica imperniata,
ovviamente, sui temi della cultura e dell'arte. Per anni fu collaboratore della terza pagina
di importanti testate come Il Messaggero, il Popolo di Roma, il Tevere, il Mattino, il Roma, il Giornale
d'Italia; tra le riviste
letterarie, la Tribuna, l'Arengo, il Pensiero, Il Quadrivio ed altre.
La politica Un paio d'anniprima della morte - siamo nel 1948 - benché già avvertisse i sintomi del male che
lo consumerà, si lasciò convincere da amici e estimatori a tentare un'avventura politica nella
quale, peraltro, poco credeva. Si presentò come indipendente nelle liste per il Senato della
Repubblica senza ottenere quel successo che forse avrebbe meritato. Ma tant'è, un letterato difficilmente
riuscirebbe ad essere un buon politico, e viceversa. D'altronde Gino Rossi Vairo aveva già realizzato
- da uomo libero da vincoli politici e col solo carisma che gli derivava dalla sua riconosciuta
personalità - molte cose per il suo Paese: la bella strada panoramica che unisce la parte bassa
di Agropoli al Borgo medioevale e che i più anziani ricorderanno come una via di campagna , sterrata
e sconnessa per le piogge alluvionali, fu fatta riattare e sistemare soprattutto grazie al suo
personale interessamento presso il competente Ministero di Roma e costituiva per lui motivo di
legittima soddisfazione
[8] Con Delibera n.217 del 1° ottobre 1949 il Consiglio comunale di Agropoli aveva deciso di
intestare la strada stessa a suo nome. A tale onore Egli rispose con un cortese rifiuto,
invitando le Autorità ad individuare un altro personaggio agropolese, che più di lui lo
meritasse, astenendosi da ogni suggerimento. E il Comune, a questo punto, deliberò di
intestare la strada a nome di suo Padre, Carmine (Del n.47 del 23.3.1950) scrivendo una
bella pagina di rispetto e di sentimento che fa onore alla storia di Agropoli. Testamento morale Il suo testamento spirituale è riassunto in un'epigrafe che egli stesso dettò sin dagli anni
giovanili e che, dunque, per tutto il tempo che visse, costituì il suo credo e il suo impegno
morale. Dice questa epigrafe:
Amò la libertà de l'infinito,
fu pescatore d'ombre e di chimere
fu galantuomo e non mutò bandiera.
Poche parole che sintetizzano il suo grande progetto di vita: uomo libero, poeta sensibile, sognatore
fervente. Spirito generoso e indomo che ancor oggi rivive nel ricordo di quanti lo conobbero
e l'amarono. Morì il 10 agosto 1950, nel giorno di San Lorenzo di pascoliana memoria.